CARNEVALE 

A MILANO la storia.

Il Carnevale a Milano, secondo alcuni, risale al secolo XII quando istrioni con maschere, buffoni e menestrelli incominciarono a girare per i castelli onde rallegrare gli ospiti dei signori con canti e recitazioni di carnasciali. Già nel secolo XV la festa del Carnevale si svolgeva davanti al Duomo: gli spettacoli sacri e profani si susseguivano e la città, dall'antica chiesa di Santa Tecla al Palazzo di Corte, sino alla piazza del Verzaro, era tutta una fiera. Pifferai e tamburini e ragazzi con torce cantando laudi formavano l'avanguardia di un lungo corteo costituito da popolo orante che roteava turiboli di incenso tra due file di carri con trofei allegorici o di carattere liturgico faticosamente trainati da coppie di buoi. Ai lati dei carri, canonici con teche d'oro e d'argento salmodiavano accompagnati dal coro delle campane festose di tutte le chiese della città.
Dopo la parte religiosa della festa carnevalesca si svolgevano numerose rappresentazioni che poi si soleva ripetere per vari decenni come ad esempio I sollazzi di Giasone e Medea, oltre ad alcune satire che non risparmiavano nemmeno i cardinali riuniti in conclave. Le mascherate erano costituite da gente del popolo che per l'occasione si camuffava con corone d'oro, cappelli di piume, mantelli di broccato e spade d'argento, o meglio che volevano sembrar tali.
Nel secolo XVI a Milano, nella penultima domenica di Carnevale, 12 cavalieri riccamente vestiti e montati su superbi destrieri sfarzosamente bardati, attraversavano le vie principali per scegliere le più belle dame e damigelle e scortarle al palazzo del Signore della Città.
Nel 1553 i dodici cavalieri erano Carlo Visconti, il

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marchese di Soragna, il marchese di Goliasso, Giovan Francesco Castiglione, Pier Francesco Reina, Giovanni Mariano, Alessandro Speziano, Giambattista Cusani, Camillo Billia, Manfredo Gatto, Marcantonio Porro e Seipione Arzone. Questi giovani rappresentanti delle più nobili famiglie di Milano, pieni di virile baldanza, elegantemente abbigliati, si recarono innanzi tutto al palazzo di donna Isabella di Molfetta, moglie di Ferrante Gonzaga"', governatore del ducato di Milano per delega di Carlo V, e subito dopo dalla vedova di don Fabrizio Colonna, donna Ippolita, dama di rara avvenenza che soleva contornarsi della più bella gioventù dell'epoca.
La scelta non fu dunque facile fra tante bellezze, ed a ciascuna dama invitata fu offerta una " face d'oro purissimo ". Le fortunate furono: la contessa Lucia Trivulzio Visconti per le sue trecce bionde, Claudia Arconati per la bella testa, Amadina Bertia per le ciglia, Margherita Trivulzio per i meravigliosi occhi cerulei, Lucrezia Cusani per il naso minuto e assai grazioso, la contessa Isabella Visconti per la dolcezza delle gote, Lucrezia Marinoni per la squisitezza del mento, Gismondina d'Este per le deliziose orecchie, la marchesa di Soragna per la sua " candida gola >, Bianca Caccia per la sua classe, Isabella Brivia per la sua rosea carnagione, donna Ippolita Gonzaga per la bellezza del seno procace ed armonioso, Lucia Visconti per le manine affusolate, Lucrezia Visconti per le rotonde ginocchia (il cronista non ci chiarisce come abbiano potuto apprezzarle in un'epoca così castigata ... ), la principessa d'Ascoli ancora per le mani. La bellezza di tutte queste dame riunite insieme
doveva formare la bellezza di Venere.
Le feste ebbero inizio il lunedì e terminarono il venerdì: tutto il patriziato milanese intervenne al gran
ballo, con grande sfoggio di vesti di finissimi broccati velluti preziosi. Dalle altre corti italiane giunsero, per



111 Duca di Molfetta e di Guastalla, fu un prode condottiero al servizio di Carlo V che lo nominò Viceré in Sicilia e poi Governatore di Milano. Si macchiò di un atroce delitto con l'uccisione del Duca di Parma e Piacenza, Pier Luigi Farnese.

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offrire il meritato tributo in versi alle belle dame, menestrelli e poeti che per l'occasione si erano mascherati da Dante, Petrarca, Boccaccio, Bembo, Sannazzaro ed Ariosto, con serto di alloro, guanti e ricche pianelle. Li precedevano degli amorini nudi, che in realtà erano figli di alcuni vassalli, coronati con ghirlande di mirto ed ornati di arco e faretra pendenti da vaghissimi nastri con fiaccole emananti profumo nella mano destra. Li seguiva Apollo, con una leggera tunica di seta ed un ricco manto in oro e la sua cetra in mano, scortato dalle nove Muse, delle quali ognuna suonava uno strumento diverso. Queste belle fanciulle col capo inghirlandato di fiori ed il generoso decolleté appena adombrato da leggerissimi veli d'oro, cantarono madrigali, accompagnate dalla cetra di Apollo, ed ognuno dei poeti presenti cantò un'ottava in onore delle belle dame. Inoltre ogni poeta donò ad una dama un omaggio simbolico: Dante delle stelle, Petrarca dei ramoscelli d'argento, il Bembo dei fini ricami, il Boccaccio dei fili intrecciati d'oro, il Sannazzaro una sirena, forse raffigurante Partenope, e l'Ariosto una preziosa conchiglia datagli da Venere come premio al suo poema da poco uscito alle stampe. Le notizie di questa festa ci sono state tramandate dal poeta milanese Anton Francesco Rainiero, gentiluomo dell'epoca che per ordine di Carlo Visconti progettò la festa e riportò sino a noi la cronaca di quei giorni di festosa euforia.
Nel 1560 fu istituita la Badia dei Meneghini che, debitamente organizzata, prendeva parte ai cortei festaioli di Carnevale insieme ai carri dei trionfi. Fu però il duca Leonardo il vero organizzatore del Carnevale milanese, che rese celebre con una storica mascherata detta di Magnifica Badia, tutta una satira rivolta al popolo lombardo. Una grande mascherata fu organizzata in onore del " bastardo " don Giovanni d'Austria di ritorno da Lepanto vincitore dei " lurchi turchi ", un'allegoria le cui figure principali erano il Pensiero, il Sospetto, la Repulsa, il Desiderio, la Sollecitudine, la Speranza e la Gelosia. Seguivano musici, re e regine con scettri, su carrozze i cui guidatori armati di clave di tanto in tanto si fermavano

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per dare spettacoli di forza e di abilità. Chiudeva il cor-
teo un carro che rappresentava il trionfo di Venere, tirato da otto schiavi.
Già íìn dai tempi di Sant'Ambrogio il carnevale Milano si prolungava molto iù che nell t
e, p e altre cit a perché terminava la domenica di quadrigesima con il cosiddetto " carnevalone " rappresentato da quattro giorni di bagordi specialmente culinari.
Nel 1579 San Carlo Borromeo, arcivescovo della città, volle invitare il suo " gregge " a non " violare " le domeniche " con giostre, spettacoli, tornei, mascare, balli et dissoluzioni che ne seguono le santissime domeniche di settuagesima, sessagesima e quinquagesima, senza turbare la devozione con tamburi, trombe, carrozze di concorso, gridi et tumulti di tornei, correrie, giostre, mascherate et altri simili spettacoli profani ". Pare che in seguito a questo monito pastorale del santo arcivescovo sino alla metà del secolo scorso si rispettasse sempre la domenica, eccezion fatta per il corso delle carrozze che aveva luogo da piazza del Duomo sino a Porta Orientale e a Porta Nuova con magnifici equipaggi in maschera e bellissimi cavalli. Si racconta che sfilassero più di duemila carrozze; con l'andar del ternpo il corteo giunse sino a Porta Romana e alla Strada Larga, dove l'accoglienza più festosa era costituita dal lancio di frutta ed uova fradicie, e schizzo di "acque nanfe ". Poi nel 1847 questa sfilata fu abolita e si fecero soltanto i carri ed alcune mascherate.
Nel periodo spagnolo il Carnevale era un rito: cortei di carri e carrozze e maschere si riversavano per la via Larga e per il Corso Roma invadendo entusiasticamente tutta la città. Il duca di Ossuna, don Gaspare Tellez Giron Gomez di Sandoval, fu il maggiore artefice e promotore di questa festa: famoso dongiovanni, si racconta che offrisse grandiosi balli nel suo palazzo, e che pretendesse di baciare tutte le dame che si accomiatavano da lui pena... severe punizioni ai mariti l'indomani.
Nel 1771, come ci racconta il Parini, in occasione delle nozze dell'Arciduca d'Austria con Maria Beatrice d'Este, si allestì una mascherata imponente con carri,
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arrozze e calessi variopinti dei vari borghi preceduta dal corriere della Magnifica Badìa. Una squadra di usseri costituiva l'avanguardia del corteo: seguivano il portiere della Badìa, con gran numero di suonatori di piffero e tromba, e ben trenta muli carichi di sporte e di ceste contenenti arnesi domestici, erbaggi e frutta. Venivano in ultimo il gonfalone della città portato dal cancelliere ed un carro pieno di ballerine mascherate da " facchi-
il Parini che " il colpo d'occhio riuscì noerlileen"t.alleaemqausicdhiecreata sfilò per tutta la città fino a Porta
per ogni sua parte dilettoso e sorprendente; imperciocché era quivi più che in ogni altra parte grande il concorso di popolo, ed eransi schierati dall'un lato e dall'altro tutte le carrozze, e la mascherata avea spazio di spiegarsi e di presentarsi allo sguardo tutta in un punto".
Dopo queste imponenti feste se ne fecero altre per l'incoronazione di Ferdinando I, ma senza dubbio la più memorabile rimane sempre quella " mascarade doi Fechin del Lagh Maiò, ascric in tla Megniciche Bedie, faccie in Milan ol dì 20 fevree 1764 " che abbiamo voluto ri-
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portare dalla cronaca del Parini @ che fu dalla città incaricato di " stendere e tramandare a' posteri la descrizione della festa ".
Intorno a quest'epoca la nobiltà milanese volle un teatro proprio, che fu chiamato poi " teatrino " presso il Palazzo Reale sul modello del teatro di San Giovanni Crisostomo a Venezia, in piccolo, ed in esso si inaugurava tutti gli anni il Carnevale con rappresentazioni e feste finché un incendio non lo distrusse. Nel 1776, furono costruiti il Teatro della Scala 113 e quello della Canobiana, ultimato il primo nel '79 e l'altro nell'80; in
112 Può destar meraviglia che proprio a Giuseppe Parini, degno abate e " gran vate ", fosse affidato il " reportage " del Carnevale. Ma il Parini era direttore della Gazzetta di Milano ed insegnava eloquenza alle Scuole Palatine di Brera. inoltre era universalmente amato, temuto e rispettato per il suo poema satirico Il giorno, che era entrato in tutte le nobili famiglie, proprio quelle che in Carnevale amavano più di tutti divertirsi-
113 Da G. Piermarini sulle fondamenta di una chiesa chiamata Santa Maria della Scala.
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quel periodo il carnevale milanese si protraeva dal giorno di Santo Stefano a quello di San Giuseppe con rappresentazioni per tutto il periodo carnevalesco. Fu anche costituita la Magnifica Badia dei Meneghini, che a dire di Giuseppe Parini era una mascherata rappresentante i costumi degli abitanti delle valli del Lago Maggiore che in quel tempo lavoravano a Milano come facchini o come servi; infatti parte di questa mascherata era appunto chiamata la Facchinata. Il Parini aggiunge che " questa mascherata suole uscire quasi ogni carnevale, e talvolta anche in occasione di pubbliche allegrie, ora più ora meno pomposamente ". La Badìa in realtà fu voluta dai Borromeo che, feudatari in quel tempo delle valli del Lago Maggiore - ed a testimonianza di ciò miriamo ancora oggi i magnifici Castelli "' della nobile casata in quella zona - provvidero ad invitare in questa specie di Società anche personaggi come il Maggi, il Balestrieri, il Tanzi ed il Parini che, certo, non eran punto facchini.
Fino al secolo XIX, a Milano il Carnevale durava ben sette settimane nonostante gli anatemi mossi nei vari secoli da diversi Arcivescovi, primo, come abbiamo visto, il santo Carlo Borromeo. Durante l'occupazione francese, Eugenio Beauharnais Il, viceré d'Italia, fece organizzare per il giovedì grasso una mascherata che fu tutta una glorificazione allegorica dell'armata francese: era il 13 febbraio del 1812! Ben sedici carri, trainato ciascuno da dodici cavalli, ad un dato segnale iniziarono a procedere ad andatura più elevata mentre fanciulle sor-
114 Sulla più grande delle isole del Lago Maggiore, l'Isola Madre, che appartiene ai Borromeo sin dal 1501, quando a capo della famiglia era un conte Lancellotto. La costruzione del palazzo fu Iniziata agli albori del secolo XVII e vi furono fatte man mano aggiunte e migliorate fino agli inizi dell"800. Esso è completato cla uno stupendo giardino d@ piante rarissime, arricchito da statue e fontane, ed allietato da uccelli esotici in libertà.
115 Figlio di Alessandro, il primo consorte di Giuseppina Tascher de la Pagerie, moglie di Napoleone Bonaparte, fu da quest'ultimo nel 1805 proclamato figlio adottivo e suo erede al trono d'Italia col titolo di Principe di Venezia. Si distinse nella campagna di Russia, venendo poi a Milano. Dopo Waterloo si ritirò in Baviera presso la corte del re Massimiliano, di cui aveva sposata la figlia Augusta Amalia. Mori nel 1824.
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ridenti gettavano alla folla baci e dolciumi, suscitando l'entusiasmo generale. Per la ressa vi fu qualche incídente, si capovolsero i carri ed un ufficiale ferendosi molto gravemente morì nel vicino ospedale dei Fatebenefratelli. La festa finì dunque male ed i soliti profeti popolari ne trassero cattivi auspici, non tanto campati in aria, giacché furono poi... appioppati alla disastrosa campagna napoleonica in Russia.
Sotto la dominazione austriaca il Carnevale milanese conservò sempre un certo tono di solennità, nei balli e veglioni che si organizzavano alla Scala; nel 1847 tutti i giovani appartenenti alla nobiltà milanese presero parte ad una mascherata che fu chiamata lo " Scoglio de' Briganti " ed il giovedì grasso vi fu un gran concorso di popolo con lancio assai copioso di confetti dai balconi, dalle finestre e per le strade. Nel '48, però, con l'inizio dei fermenti rivoluzionari, la nobiltà fischiò alla Scala la celebre Essler che aveva dimostrato troppo attaccamento al Governo.
Nel 1859 il Carnevale fu particolarmente deludente e triste, ma negli anni successivi vi parteciparono anche genovesi, torinesi, bolognesi e modenesi: e le feste furono talmente allegre e spensierate da far comprendere a tutto il mondo che in Italia era tornata la gioia e la fraternità tra uomini tanto a lungo divisi ed ora, finalmente, in parte uniti. Nello stesso 1860 ci fu anche un veglione alla Scala con l'intervento del Conte di Cavour e degli ambasciatori accreditati e fu qui che da tutti gli italiani fu levato il grido: " vogliamo Venezia "; il conte di Cavour dal canto suo non solo dimostrò di apprezzare tale entusiasmo, ma anzi fece alcuni salaci commenti e promesse alla contessa Gritti "', che era appunto veneta e pertanto desiderosa anch'essa di vedere annessa all'Italia la sua terra che era ancora sotto il giogo straniero e le manette di Toggenburg. Nell'ultimo giorno di Carnevale,
116 Appartenente alla dogale famiglia veneziana e discendente da Andrea, che, Doge dal 1523 al 1538, è ricordato per la Lega di Cambrai con la quale riuscì a recuperare i territori che Venezia aveva perduti contro Francesco I. La contessa fu patriota convinta ed assertrice risoluta dei principi dell'Unità d'Italia.
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Milano ebbe l'onore di rivedere quali augusti ospiti le LL.MM. e fu tutto uno sventolare di tricolori che rese quel Carnevale il Carnevale più bello d'Italia.
Nel 1886 ci furono mascherate, fiere e veglioni e nella Società Patriottica furono riunite tutte le maschere che erano state a Roma per un sontuoso banchetto, nel corso del quale il sindaco Negri e Paolo Ferrari vollero parodiare il Brindisi di Girella di Giuseppe Giusti con una parafrasi spiritosissima nel punto in cui il verso dava l'Evviva alle maschere di ogni paese. A questo banchetto partecipò anche l'Uomo di pietra, impersonato dal signor Valtolina, che ornò il petto di tutti i commensali con decorazioni carnevalesche, delle quali la più bella, quella data a Gianduia, non era altro che un pezzo di quel Collare dell'Annunziata che nel 1691 un antenato di re Umberto aveva distribuito ai poveri affamati e che Gianduia aveva ereditato considerandolo un cimelio di famiglia. Vi fu poi un brindisi fatto da Rugantino che volle declamare alcune poesie del suo ultimo volume Ah! Sente ch'è dorce, alcune poesie del Belli, ed alcuni brani della sua satira Le conversazioni de li frati; e venne recitato il Miserere di Carlo Porta che fece impallidire tutti per la sua satira mordace.
A Porta Genova il Carnevale " impazzava " intorno ad una specie di torre di Babele che era stata eretta, mentre si aggiravano fra le maschere gli elefanti di un vicino Circo: in Piazza del Duomo, nonostante il freddo e la neve, il popolo ballava al suono di un'orchestra sotto un vero diluvio di coriandoli e fiori. Vi fu la sfilata dei Carri tra cui primeggiò quello detto dei Rattoni, cioè di enormi sorci in trappole che, si disse, volevano essere una mordace allusione alle convenzioni ferroviarie. L'ultimo carro rappresentava la Luna di miele. Vi furono inoltre ben due veglioni alla Scala, al Teatro Dal Verme, al Castello, e nell'interno della Galleria. Questa ultima festa fu però funestata dalla morte di tre giovani che caddero dai balconi di un ristorante della Galleria. Fu dato poi un gran ballo dal duca Melzi, improntato a reminiscenze napoleoniche e della repubblica cisalpina in cui tre giovani apparvero in calzoncini e calze di seta
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in un costume che ricordava un po' l'abito dell'abate e un po' quello del maggiordomo.
Nel 1886 i milanesi di Porta Venezia imitarono quelli di Porta Genova infiorando ed illuminando tutto lo stradone che portava a Loreto e decorando altresì con festoni tutte le insegne; così la famosa trattoria di Loreto era stata trasformata in... basilica di San Pietro con relativo porticato del Bernini, ove si era poi disposta una piccola fiera con caratteristica esposizione di vini tipici. La pioggia però deluse gli organizzatori rovinando tutto il loro bel lavoro e di ciò si dolse il Sindaco che volle manifestare ugualmente tutta la sua ammirazione a coloro che avevano preparato con tanta cura la festa. Dopo pochi giorni, nell'ultima domenica di Carnevale, un magnifico carro costruito dalla Società laica di assistenza agli ammalati, si diresse a Porta Genova carico di doni per i bimbi del quartiere.
Il Carnevale dei bimbi fu invece alla Canobbiana: il teatro fu trasformato nella piazza del Duovo ove si ergevano il tempio, il Palazzo di Corte e l'antica Osteria del Rebecchino, i palchi fungevano da casette con balconi, al centro rimaneva lo spazio per le danze dei piccini. In questa occasione la Casa Treves distribuì il giornaletto Mondo Piccino ai piccoli vestiti a ersa ieri, garibaldini, briganti o croati, incroyables, paggetti, o famosi medici alla goldoniana.
Nel 1900 il patriziato milanese, i cui più autorevoli esponenti erano il conte Febo Borromeo, il conte Francesco Melzi d'Eril "', il principe di Belgioioso, il duca Guido Visconti di Modrone, organizzò al Savini ed alla Scala importanti veglioni a beneficio dei poveri della città. Anche enti come la Socetà del Giardino, la Società Patriottica, la Famiglia Artistica, l'associazione dei Giornalisti e la Fiera di Genova, si diedero un gran da fare per rallegrare un po' tutti con travestimenti e mascherate che ricordavano i Boeri e la Guerra del Sud-Africa.
117Nipote di quel Francesco, vice-presidente della Repubbli ca d'Italia nel 1802, prima ciambellano di Maria Teresa, poi rivoluzionario convinto.
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Tutti si divertirono molto, specialmente i giovani iscritti alla massonica Corda Fratres che pensarono di travestirsi da " procaci " suore o da nobili signore con calze a maglie provocando incontenibili risa.

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