(E. Dickinson)

Dopo un grande dolore viene un senso solenne, 
Stanno composti i nervi, come tombe, 
Il cuore irrigidito chiede se proprio lui 
Soffrì tanto? Fu ieri o qualche secolo fa? 
I piedi vanno attorno come automi 
Per un'arida via 
Di terra o d'aria o di qualsiasi cosa, 
Indifferenti ormai: 
Una pace di quarzo, come un sasso. 
Questa è l'ora di piombo, e chi le sopravvive 
La ricorda come gli assiderati 
Rammentano la neve: 
Prima il freddo, poi lo stupore, infìne 
L'inerzia. 

                  

 

 

  

       

                





Se si guarda attraverso il dolore, la felicità non è che un dipinto, diventa ancora più desiderabile perché impossibile da ottenere. La montagna, a una certa distanza, è tutta ammantata d'ambra. Ci si avvicina, l'ambra diminuisce: ed ecco, appare il cielo. 

Così l'ottenni,
lentamente salendo,
Afferrandomi ai rami che sporgevano
Fra me e la beatitudine.
Come pendeva in alto!
Tanto sarebbe valso
Scalare ad arte il cielo.
Ho detto che l'ottenni -
E fu tutto.
Guarda come la stringo
Perché non cada.
Ed io resti per sempre miserabile,
Resa incapace da un istante di grazia
Di riprender quel volto di quieta mendicante
Che avevo un'ora fa!

                

 

  

  

  

La bellezza non ha causa:
Esiste.
Inseguila e sparisce.
Non inseguirla e rimane.
Sai afferrare le crespe
Del prato, quando il vento
Vi avvolge le sue dita?
Iddio provvederà
Perché non ti riesca.

Oggi mi sento triste per i morti. 
Hanno ore così liete 
I vecchi dietro agli steccati. 
E' la stagione del fìeno, 
Ed i grossi, abbronzati conoscenti
Si scambiano parole in mezzo alla fatica 
E ridono - un razza casalinga 
Che rallegra perfino gli steccati. 
E sembra duro giacere lontano 
Dal rumore dei campi, 
Dai carri affaccendati, dai fragranti 
Covoni - e il canto di chi falcia 
Insinua un'ansia, quasi nostalgia,
Pei contadini con le loro spose, 
Allontanati dal lavoro dei campi, 
Da tutta l'esistenza dei vicini. 
Mi chiedo se la tomba 
Non abbia troppa solitudine 
Quando uomini e ragazzi con i carri ed il giugno 
Vanno nei campi a fare il fieno! 

                 

 

 

 

 

   

 

 

 

                

  

L'icertezza è più ostile della morte.
La morte, anche se vasta,
E' soltanto la morte e non può crescere.
All'incertezza invece non v'è limite,
Perisce per risorgere
E morire di nuovo,
E' l'unione del Nulla
Con l'Immortalità.

Il presagio è quell'ombra che si allunga sul prato,
indice di tramonti,
Ad avvertire l'erba sbigottita
Che su lei presto scenderà la notte

  

Che sia l'amore tutto ciò che esiste
e ciò che noi sappiamo dell'amore
e può bastare che il suo peso sia
uguale al solco che lascia nel cuore

Per fare un prato occorrono un trifoglio ed un'ape -
un trifoglio ed un ape
E il sogno.
Il sogno può bastare
Se le api sono poche.

La preghiera è il piccolo strumento
Con il quale gli Uomini si spingono fin
Dove la Presenza – gli è negata."
Emily Dickinson, "454"

Abbiamo prima sete- è l'atto di natura- 
E dopo, quando stiamo per morire, 
Chiediamo supplichevoli un po' d'acqua 
A dita che ci passano vicine. 
Ed è figura d'un bisogno più alto 
La cui risposta adeguata 
Sono le grandi acque occidentali 
Chiamate Eternità. 

Era tardi per l'uomo, 
Ma ancora presto per Dio, 
Il creato impotente ad aiutarci, 
Ma la preghiera ci restava al fianco. 
Come è perfetto il cielo 
Quando non si può avere questa terra: 
Come appare ospitale allora il volto 
Del nostro antico vicino, di Dio.
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